La gente ride quando dico che Matrix è il film Zen per eccellenza… Si figura che un film Zen sia più simile a “Morte di un Maestro del Tè”, film in cui dominano i silenzi e le lunghe pause drammatiche, film nel quale succede poco e niente per la sua intera durata, film dalle frasi e scene che sembrano buttate lì un po’ per caso, come non si volesse neanche farlo per davvero il film. Ora: io non ho fatto una profonda analisi su “Morte di un maestro del tè” e non so quindi dirvi se sia un vero e proprio film Zen o se invece sia semplicemente un film di costume, ma conosco bene invece Matrix e credo di aver intuito con una certa chiarezza le metafore dello Zen e come questa filosofia insegni (e non ciò che insegna, perché lo Zen non lo si può imparare, lo si può solo sapere) e queste due cose in concomitanza mi spingono a ripetere l’affermazione che molti trovano ridicola. Per capire l’assoluta pertinenza della mia affermazione, innanzi tutto è essenziale sfatare alcuni luoghi comuni sullo Zen e, probabilmente, anche su Matrix. Innanzitutto, lo Zen non è assurdità, ma bensì metafora: quando una persona trova assurdo un koan, ossia una di quelle strambe domande attorno alle quali i filosofi Zen meditano, non è perché tale “indovinello” o frase manchi di senso di per sé, ma è semplicemente perché non si è abbastanza abili da cogliere la metafora riguardante la nostra vita che lo Zen ci suggerisce. Per intenderci: nessuno tacciò di assurdità i versi “ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera”; è palese che si tratta di una metafora della vita, dove ogni immagine ha un suo corrispettivo nella nostra vita reale e sentimentale e sociale e quanto altro. Così è anche per gli aforismi Zen, con una notevole eccezione: più raramente concludono la metafora; vale a dire che a volte lasciano in sospeso la “descrizione” metaforica per lasciare che sia il pensatore a ricavarne l’insegnamento. Nell’esempio di prima, un poeta Zen avrebbe scritto: “ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole”. Questa frase, privata della metafora finale della sera, è più difficile da interpretare perché priva di punto di riferimento più facile da definire (cioè la similitudine sera = morte), ma non per questo è assurda o priva di senso metaforico (o lo sarebbe anche se completa). È quindi solo per questo che il pensatore occidentale ritiene lo Zen un’inutile accozzaglia di sciocchezze mirate solo a far grossi paroloni, che sembrano aver senso, ma che poi non servono a niente se non ad impressionare chi ascolta (come potrebbe essere la frase “lo schema fisso è la palestra del campione”… o forse vi è saggezza anche in questa?): il pensatore occidentale è abituato a digerire pensieri già masticati, e quando gli si propone un pasto succulento, anziché riconoscere di non avere i denti, dice che la carne è solo una suola di scarpa e quindi è impossibile da mangiare. Vedi questo esempio per avere un ulteriore esempio di come è fatto un koan, perché può sembrare assurdo ed averne un aiuto a una possibile soluzione.
Gli occidentali ritengono il metodo di analisi Zen completamente alieno alla loro mentalità non perché lo sia davvero, ma solo perché in questo modo non devono con esso confrontarsi. Gli occidentali, poi, si schermano a vicenda spargendo la convinzione che tali aforismi siano insolubili così da non doversi sentire inferiori nel non trovare in essi delle risposte che sarebbero ultimamente minacciose per il loro modo di vivere così stupido e insensato: se infatti uno di loro dovesse mai fermarsi a provare a sbrogliare una di quelle tanto complesse matasse, potrebbe addirittura scoprire di esserne in grado e che può scoprire anche da solo tutte le risposte di cui abbisogna per capire che cosa non funziona nella sua vita e nella sua società, quindi capire che è tutto frutto delle menzogne che si è raccontato e che gli hanno raccontato; da quel momento in poi non potrebbe più vivere nella sua dannosa e beata ignoranza perché saprebbe di esserne il solo responsabile e dovrebbe assumersi la responsabilità di costruire da sé la propria felicità anziché aspettarla da Dio o dagli altri…. Che, guarda caso, è quello che è successo a me medesimo. E qui tra l’altro credo che cominci a uscire anche la chiarissima similitudine tra consapevolezza Zen e Matrix… e se non l’avete notata, ve la sparo io sul muso seduta stante: leggete qualche riga più sopra “capire che cosa non funziona nella sua vita e nella sua società, quindi capire che è tutto frutto delle menzogne che si è raccontato e che gli hanno raccontato” e confrontate con il tema di Matrix di risvegliarsi da un mondo completamente fasullo fatto da segnali virtuali che inscatolano la mente umana in un mondo che non esiste sul serio. Già qui potrei fermarmi a spiegare il perché la gente che ride della mia affermazione dovrebbe fare meglio a riflettere anziché sganasciarsi, ma c’è un altro preconcetto che va abbattuto: la metafora non è per forza pallosa e lenta. La metafora non è cioè una frase, ma può essere anche un gesto, un’azione, una canzone ed, ovviamente, quindi anche una storia; nei film di fantascienza si fa spesso riferimento a incontri con creature extraterrestri e alle conseguenze che un errato approccio causa: questo non è certo una storia fine a se stessa, ma una metafora per riflettere sulla natura umana e sulle conseguenze che essa potrebbe portare. Gli alieni sono solo uno strumento per mettere noi in risalto. Così è anche per la storia di Matrix, con la sola differenza che questo avviene ogni singolo istante. Ogni singola frase, ogni singolo movimento, ogni singolo avvenimento è specchio preciso e non vago di un aspetto della nostra vita: semplicemente la grande regia e sceneggiatura ha fatto in modo che fosse tutto così fluido e apparentemente “alieno” che a una prima occhiata sembra davvero che stiano parlando d’altro. È semplicemente difficile capirlo perché noi siamo abituati al fatto che quando uno vuole fare una metafora con una storia, alla fine i pezzi non combacino perfettamente nella storia per necessità di fare quadrare una difficile metafora. Ed invece no! In Matrix (e per questo lo ritengo veramente il film definitivo) tutti i pezzi si incastrano tanto perfettamente che non hanno alcun attrito e la storia sembra girare tanto perfettamente che sembra impossibile abbia un altro significato più profondo di quello apparente (cioè una lotta dell’uomo per la sua libertà). Tuttavia, se mi seguirete nella spiegazione delle future metafore, vedrete come sia più che possibile che ogni momento del film sia dedicato non al raccontare la storia di un mondo virtuale e fantascientifico, ma invece una perfetta parodia della nostra realissima vita e quando si parla della realtà virtuale che ci intrappola non si parli di un ipotetico futuro sviluppo tecnologico, ma di un attualissima realtà sociale.

E tutto questo è Zen. a ogni millimetro di pellicola sono disseminate decine di pensieri Zen perfettamente camuffati, ma pronti per l’occhio accorto per essere colti e nonostante questo, ha la forza di un vero film hollywoodiano: con i suoi super effetti e le sue coreografie che non fanno che descrivere al meglio la battaglia che è componente essenziale di chi segue lo Zen. La incessante battaglia per liberarsi del proprio mondo illusorio.

Io non adoro lo Zen… Io miro ad essere Zen… per questo, quando ho visto sullo schermo rappresentati con tanta abilità tutti quei principi tanto difficili da comunicare, ho capito che lo studio di questo film dovesse essere tra le mie prioritarie fonti di illuminazione e che, in ultima analisi, i miei pensieri avrebbero prima o poi dovuto concretizzarsi in qualche forma semi permanente e condivisibile… cioè ciò che state leggendo.