Sono nei guai… Di nuovo.
Quando sono nei guai penso sempre un sacco. La testa mi si riempie di tantissimi pensieri. Forse ho paura di stare sola con il silenzio. Mi fa un po’ paura il silenzio quando sono nei pasticci, finisco sempre per pensare a come mi puniranno per i guai che combino. Così invece mi trovo a parlare da sola e a raccontarmi quello che penso… come se già non lo sapessi… Immagino di essere un po’ strana, in effetti.
Ma non finisci in questo posto se non sei strana, temo… Cioè, non dalla Direttrice, voglio dire, proprio… proprio in questo posto… Oh, accidenti. Mi ci sto infilando di nuovo… In questa storia, intendo. Probabilmente è proprio per questo che la Direttrice mi ha chiamato a colloquio…
L’ufficio è così bello che ogni volta quasi mi dimentico che non sarà una visita di piacere… C’è il pavimento di marmo: è tirato a lucido e ci si può specchiare dentro. Mi fa davvero un certo effetto. Poi ci sono i pannelli di legno alle pareti. Quelli davvero li adoro! Con i loro rilievi laccati oro e le lampade a muro i cui sostegni in ferro dorato si intrecciano con motivi floreali. I soffitti, poi, non ne parliamo! Legno anche loro… e con i dipinti nel centro dei pannelli con quello stile così figurativo e coi colori così caldi! Meravigliosi!
“Signorina? Va tutto bene? Ha visto qualcosa sul soffitto?”
“Ulp! N… No, signora!” Ecco! Questo è il genere di cose che non fa una buona impressione, quando ti chiamano in direzione…
“Se ha finito la sua perlustrazione dell’arredamento, può la Direttrice avere l’onore di averla a colloquio nella sua stanza?” Come faccia la segretaria a dirti queste cose senza sembrare sarcastica è davvero al di là della mia comprensione… Ma qui sembra un requisito professionale minimo la capacità di mettere noi studenti a disagio. Qui… Studenti… Sono finita a usare questi termini per mettere ordine nella mia testa, ma ogni volta che me li dico, non faccio altro che chiedermi che cosa ci ho nascosto dietro.
Ma mentre mi faccio questi scrupoli semantici, la segretaria mi ha già accompagnato alla bella sedia di legno di mogano, foderata con quei tessuti dai decori barocchi che mi piacciono tanto. Sta di fronte alla scrivania della Direttrice. E ora ci sto seduta io. Di nuovo.
Tutto in questo posto sembra perfetto. Intendo… Voglio dire che tutto è davvero bellissimo e ogni cosa è curata fin nel più piccolo dettaglio con un gusto che a me personalmente piace davvero tantissimo… Mi ci sentirei avvolta e protetta se non fosse che…
“Signorina Amabel, è ancora tra di noi?”
“Ah… Sì! Sì, Signora Direttrice, mi scusi. Sono sempre un po’ distratta…” Ecco: un’altra bella figura è fatta…
“Sì, signorina Amabel, parrebbe proprio sia così… Forse è per questo che ci vediamo con una certa frequenza? Perché non è la prima volta che le serve il mio consiglio, dico bene?” Desidererei avere io l’eloquenza della Direttrice… Ma in questo caso è un po’ sprecata; il suo tentativo di mettermi a mio agio chiamando la lavata di capo che mi aspetta “cercare il suo consiglio” non fa che farmi sentire ancora più additata… anche se non posso essere certa che questo non sia esattamente l’effetto desiderato…
“S… Sì, Signora Direttrice, dice bene… Mi spiace doverla disturbare di nuovo…”
“Oh, mia cara, nessun disturbo; solo pensavo che, dall’ultima volta, avendo condiviso con me le sue preoccupazioni, fosse riuscita a tracciare un percorso più sereno per i suoi studi”
“Sì, Signora Direttrice… Io… Cioè, io ho tentato… Ma… Ma come diceva poco fa, mi distraggo facilmente…” Questa spiegazione suona patetica persino a me mentre mi esce dalle labbra, ma, ora che ci penso, nessuna scusa avrebbe sortito effetto migliore: tanto peggio di così non posso andare. Mi serve solo un po’ di tempo per… sgarbugliare tutto il filo di pensieri che mi si è avvorticciolato in testa e capire come mi ci sono ficcata in questo guaio… O meglio… Lo so benissimo come mi ci sono ficcata… Devo solo cercare di farmelo sembrare normale… Sì, insomma, uno di quei guai per cui una sedicenne finisce davanti alla Direttrice… E invece…
“Davvero? – mi risveglia per la seconda volta la Direttrice – E da cosa è distratta, signorina Amabel? Il primo interesse di questo Istituto è che i suoi studenti trovino l’ambiente perfetto e la tranquillità che necessitano per apprendere e migliorare; se c’è qualcosa che le impedisce di trovarsi bene qui da noi, la prego di non formalizzarsi: siamo qui per aiutarla… La sua stanza è scomoda? Il cibo della mensa non le è gradito?”
“Oh no! No davvero: qui è tutto meraviglioso… Io… – Dai Amabel che ce la fai: buttalo fuori in un fiato solo e poi non ci pensi più – Io… Mi trovo benissimo… E’ solo… Solo che…” Niente da fare… Deve essere proprio il nodo più grosso della matassa per non riuscire a saltare fuori. Ma non è colpa mia! Lo giuro! Insomma è che qui sembra che sia un taboo solo pronunciare quella frase: come faccio a dirlo proprio alla Direttrice?
“Solo che cosa, signorina Amabel? Parli pure liberamente: è qui per questo” Ecco… Liberamente dice… Ma sarà vero? O è solo una altro modo ben studiato per dirmi “sa che certe cose non dovrebbe nemmeno pensarle”? Che devo fare? Ci provo? Magari piano piano… Comincio anche io con i doppi sensi e le metafore… magari mi aiuta la Direttrice…
“Solo che… Che credo di avere qualche problema con… Con… Ecco… Con la mia “condizione”…”
“La sua “condizione”? Vuole essere più specifica?” Eh sì, vorrei proprio… Solo che…
“Sì, insomma… Non riesco bene ad abituarmi al fatto… al fatto di…” Niente di niente: non vuole proprio usci…
“A quale fatto? Al fatto di essere morta?”