Oltre la Linea

“Ma non c’è nessuno qui? Dove sono finiti tutti?” Chiese non tanto perché interessata all’argomento quanto perché spaventata dall’assoluto silenzio che la soffocava. L’altra non rispose, lasciandola a tentare di cogliere in lontananza quei rumori che tanto le erano famigliari e di conforto: i suoni di una città frenetica e caotica, fatta di clacson e pistoni di macchine e di grida di gente che scarica la sua frustrazione sui propri simili. Ma al suo orecchio non giungeva nulla di tutto ciò, solo il quieto fruscio di un vento spettrale che la faceva rabbrividire quando la sfiorava.
“Oramai qui non vive quasi più nessuno…” Replicò la rossa dopo una pausa che sembrò interminabile “…sono tutti andati a vivere dove c’è un gran chiasso…”
“Vorrei ben vedere… Qui la sera è un tale mortorio, ma non c’è nessun locale per divertirsi qui? E’ tutto chiuso! Cosa fate la sera?” Istintivamente, senza quindi sapere il perché, aveva associato la figura che le camminava davanti a quel posto in una relazione inscindibile, abbandonando il concetto che anche lei potesse essere una semplice visitatrice…
“…Ascoltiamo il silenzio…” Fu la lapidaria risposta 
“Che sciocchezza! Non si può ascoltare il silenzio: è zitto, il silenzio!” Proruppe seccata da quell’aria di superiorità che l’altra continuava a darsi. Questa fu l’unica cosa che strappò una reazione alla sua guida, che si arrestò improvvisamente e voltò appena il capo fissandola con un occhio tanto sottile da sembrare niente più che un taglio nella notte. Intuendo di aver fatto una mossa azzardata lei fece un mezzo passo indietro, ritraendosi, persa nuovamente la sua baldanza.
“Eppure, se fosse zitto, come avrebbe fatto a chiamarti fino a qui?”
“I… Io… No, guarda, te l’ho detto, ho solo perso la strada…” Passò qualche secondo molto teso, poi la rossa si voltò e tornò al suo passo silenzioso. Forse era stata sul punto di dire qualcosa, ma era come se avesse desistito perché il tempo non era ancora giunto. Sempre sospinta dal vuoto che sembrava farsi più vicino per inghiottirla non appena l’altra figura smetteva di farle da nume tutelare, riprese a camminare in quello che ormai da strada si era trasformato in un semplice viottolo. Le case apparentemente disabitate le scivolarono di fianco come un velo scuro portato dal vento, mentre la ragazza la conduceva con sicurezza per quel posto che cominciava ad avere un aspetto davvero troppo estraneo per appartenere davvero anche a una città vasta e multiforme come la sua. Poi, con la stessa sensazione che dà il primo respiro dopo essere a lungo rimasti in apnea, il viottolo si aprì inaspettatamente su di una piccola piazza, lasciando che gli angusti spazi rilasciassero la loro presa.
“Anche qui ci sono dei locali notturni, come puoi vedere…” Sussurrò la rossa arrestando il passo non appena entrarono nella piazza. Istintivamente, lei fece correre l’occhio alla ricerca di un confortante bagliore elettrico, ma, con suo grande sconforto, le sue speranze vennero deluse. Non volendosi arrendere all’evidenza cercò una qualche ingannevole porticina che conducesse in qualche seminterrato marchiato anche solo da una colorata insegna, ma anche questo sembrava risultare vano. Proprio quando stava trovando non così strana l’idea che la sua guida fosse semplicemente pazza, il suo sguardo si posò infine su dei particolari che le erano fino a quel momento sfuggiti perché semplicemente troppo immobili e fusi con la notte che avanzava per considerarli non parte del paesaggio. Davanti a quello che di giorno doveva essere un caffè con finiture da inizio secolo, elegantemente sedute a dei tavolini, ancora disposti come se il locale fosse aperto, stavano tre figure quasi assolutamente immobili, i loro sguardi puntati sulle due nuove arrivate, ma senza proferire parola. Sperando di avere tratto le conclusioni sbagliate, rivolse alla sua guida una domanda chiarificatrice:
“Dove?” Ancora una volta il taglio nella notte che era l’occhio della ragazza si rivolse verso di lei, privo di espressione, eppure allo stesso tempo forte come la più aspra ammonizione. Senza rispondere, la rossa si avvicinò al tavolino e prese posto su di una sedia libera con la sicurezza di chi sembrava padrona di quel seggio.
“Queste sono le mie amiche…” Commentò con la voce che per la prima volta si tingeva di qualcosa simile a una emozione. Prima che potesse bene capire cosa stesse succedendo, una delle figure, quella che vestiva un lungo abito cinese rosso e che portava dei lunghissimi capelli neri, si sollevò con calma dalla sedia e con passo ugualmente pacato le si avvicinò. Malgrado avesse tempo in abbondanza, non riuscì a fare altro che attendere che la nuova conoscenza le giungesse davanti e tendesse una mano verso il suo viso. Benché non fosse avvezza a farsi toccare dagli sconosciuti, non da ragazze e non così strane per lo meno, ritrasse solo un poco il capo, ma, come se non volesse arrecare disappunto a quella figura così… regale, si fermò subito.
“Questa ragazza…” Cominciò lei, sussurrando più che parlando, come faceva la rossa “… Sembra si sia perduta” Sentenziò con la stessa sicurezza che prima di lei era stata anche della rossa “…Poverina… Avrai paura così lontana da casa… forse dovremmo fare qualcosa per te…”
Riscoprendo un barlume di sicurezza nella possibilità di ritrovare un poco di quelle maniere sociali che le erano così care e che riempivano così tanto la sua vita, si sentì abbastanza forte da fare un primo passo e da dimenticare momentaneamente quanto quella situazione si stesse facendo irreale:
“Gra… Grazie, io sono…”
“Non è affatto importante” Le smorzò gli entusiasmi una voce Gelida proveniente dal tavolino dietro l’orientale. La figura non si alzò nemmeno dal tavolo, l’unico gesto che fece fu invece quello di voltare il viso candido come la luna ed incorniciato da dei capelli di un blu tanto vivo da sembrare irreale verso la rossa “Perché l’hai portata qui? Non è il suo posto…”