Tenshi no Namida


Lì infatti le capitò di udire la cosa più sublime che avesse mai avuto modo di sentire… Era una melodia… La cantava una voce così pura e armoniosa che sarebbe potuta appartenere a un dio. Le parole della melodia erano tristi e malinconiche e le sue note erano pacate come fosse una ninna nanna. Era diversa da ogni cosa avesse mai sentito fino ad allora… Tanto tempo era trascorso ricevendo gli ordini, subendo i rimproveri, assorbendo le aspre lezioni di dottrina che non pensava più che la voce potesse produrre un suono tanto gradevole… E tanto triste…

Tornò così sempre più spesso al tempio per udire quel canto e cullarsi sulle sue note… Così come nelle sere dopo gli allenamenti passava l’unguento sul suo corpo per lenirne i traumi e i dolori, così quella voce sembrava poter fare altrettanto per il suo spirito…

La voce però non era di natura magica (e forse era questa la cosa più stupefacente), ma apparteneva a un Figlio di Amryza che prestava servizio al tempio… Drusinua lo osservava da lontano, mentre rimaneva china nel tempio, sbirciandolo con gli occhi appena socchiusi, mimando la concentrazione di una preghiera. Era un elfo già adulto, dal volto bellissimo, ma altrettanto triste, un’altra cosa a cui lei non era abituata, conoscendo degli adulti solo il volto severo e giudicante dei funzionari. Ma per quanto quel giovane la riempisse di curiosità non riuscì mai a trovare il coraggio sufficiente per avvicinarlo, temendo che il rivelare la sua presenza e il fatto di ascoltare quelle parole avrebbe potuto spezzare una specie di incantamento.

Fu il caso, se una simile cosa esiste, a darle l’occasione che non era mai riuscita a trovare.

Un giorno qualunque, giunto il momento di lasciare il tempio, Drusinua trovò proprio nel cortile antistante le “seguaci” di Lelenia che parevano ormai avere capito dove si nascondesse il loro bersaglio preferito e, sebbene troppo ben indottrinate per solo pensare di portare le loro malignerie nel tempio della Madre, non avevano trovato nulla di discorde nell’attendere fuori dalle sue porte per portarle un po’ di meschinità. In quel momento Drusinua sospirò profondamente, la sua tristezza rivolta al pensiero di aver perso anche quel piccolo angolo segreto, più che per il sapore dello scherno che già pregustava. Ma proprio mentre si dirigeva verso le sue sorelle, pronta ad affrontare il loro disprezzo con l’orgoglio che la sua razza le aveva insegnato, senza distogliere lo sguardo e senza fuggire, la voce che fino a quel momento aveva cantato nel tempio le tristi melodie abbandonò le rime e si fece sentire fuori dalle mura del tempio.

Appena sulla soglia, l’Elfo le disse di rientrare, poiché ancora non aveva terminato con i suoi doveri al tempio… Alle altre disse di entrare nel tempio a rendere grazie alla Madre, oppure di tornare a rendere Amryza orgogliose di loro, ma che non le voleva mai più vedere perdere tempo nel cortile della cattedrale… E questo comando, più simile a quello dei funzionari, sembrò fare il suo dovere, facendo allontanare velocemente le giovani elfe costringendole ad accantonare i loro meschini propositi.

Se il canto l’aveva stupita, quel gesto quasi la stordì.

Il suo misterioso cantore dovette ripetere l’ordine una seconda volta, prima che la giovane Drusinua lasciasse la sua attonita posa nel mezzo del cortile. Non era la prima volta che udiva un adulto mentire… Ma mentire per lei… Mentire per aiutarla, questo aveva davvero un gusto sconosciuto.

Riparati nuovamente dal tempio, l’elfo tornò al suo seggio, silenzioso come lo era sempre stato quando non intonava il suo canto. Drusinua attese un poco… Forse aspettandosi che qualcos’altro di incredibile capitasse… Ma quando le fu chiaro che non sarebbe successo, non le rimase che raccogliere tutto il suo coraggio e parlare… Ma anche così non fu in grado di fare altro che presentarsi, prima che l’emozione le stringesse troppo la gola. Il giovane a udire quella scarna introduzione si voltò a guardarla, ma ancora non disse nulla. Maledicendosi per quella sensazione che non aveva provato di fronte neppure al più severo maestro adirato, Drusinua cercò qualcos’altro da dire, ma il tempo le sfuggì di mano e l’elfo distolse lo sguardo tornando di nuovo alla sua quieta contemplazione.

Con un sospiro, Drusinua abbassò il capo e mosse il suo primo passo verso le porte della cattedrale… ma la voce dell’elfo scrisse un finale diverso all’episodio che lei già pensava chiuso…

“Non è saggio che tu esca così presto… E’ meglio che tu rimanga qui ancora un poco. Vuoi ascoltare una storia, per ingannare il tempo?”

Fu l’entusiasmo con cui corse accanto al giovane che rispose al posto della sua voce ancora intrappolata dall’emozione… E al vederla così entusiasta, l’elfo sorrise, anche se sempre con quell’aria stanca e un po’ triste. Drusinua, non sapendo come comportarsi in una simile circostanza, provò ad imitare il giovane e flesse con una certa difficoltà le labbra in un sorriso imbarazzato.

Quello era il primo sorriso che le avevano mai rivolto… Quello era il primo sorriso che il suo viso avesse mai cercato di regalare a qualcuno.

Incantata da quelle nuove sensazioni che la pervadevano, Drusinua rimase in silenzio ad ascoltare il racconto del suo ospite… Fu un racconto strano come tutto il resto di quel giovane… Non era un racconto sulle innumerevoli battaglie del suo popolo contro gli elfi alti con cui da immemore tempo erano in guerra, né la storia di quanto terribile fosse il potere di Amryza, né di come la Grande Madre avesse creato i suoi figli tanto potenti e superiori alle altre razze. Ma una storia semplice, un racconto come quelli che si narrano ai bambini prima di andare a dormire… La storia di due innamorati e di un Angelo che li aiutò a trovare la felicità.

Drusinua non aveva mai sentito parlare degli Angeli… Aveva udito molteplici storie sui demoni e su come i grandi cavalieri della sua razza li avessero affrontati o come gli stregoni li avessero comandati, ma degli Angeli… non aveva mai udito nulla. La curiosità spezzò il nodo che aveva alla gola e riuscì a chiedere al giovane che cosa fossero quegli “Angeli” di cui parlava… Ci fu un altro stanco sorriso, poi lui le disse che ora il momento era opportuno per lasciare il tempio…
…Ma l’avrebbe attesa il giorno dopo, per raccontarle ancora degli Angeli, se avesse voluto.

E il giorno dopo Drusinua tornò, così come il giorno dopo e quello dopo ancora. Il giovane elfo ogni giorno la accoglieva nel tempio e senza che lei lo chiedesse le narrava una storia con la sua voce tranquilla e delicata come un ruscello di montagna. Alle volte la storia racchiudeva una poesia, o una canzone e lui la intonava per lei… Drusinua si chiese se il giovane non fosse in realtà un mago, perché quelle parole e quei suoni avevano su di lei un potere che avrebbe pensato proprio solo di un incantamento… Il suo cuore, che i funzionari avevano addestrato a rimanere calmo anche di fronte all’avversario che caricava o alla fatica di una corsa interminabile, ora, lì, seduta, senza muovere un solo muscolo e senza minacce incombenti, si agitava nel suo petto come un pesce appena catturato tra le mani del suo pescatore. L’elfo era certo un narratore abile, ma erano le storie che sceglieva di raccontare che la pervadevano di meraviglia… Come la prima che aveva udito, non avevano nulla a che fare con la dottrina che i funzionari le avevano impartito fino ad allora… Le sue storie parlavano di amore e di innamorati… Di amori persi, ritrovati, sognati, rincorsi… A volte divisi, a volte ricongiunti… E poi narravano di questi Angeli… Creature divine che aiutavano i figli degli dei nel momento del bisogno, che erano il conforto di chi soffriva, che sotto le loro ali accoglievano chi non aveva altro rifugio. E nei suoi racconti, che non dimenticavano la Madre Oscura, Amryza era però diversa da come i suoi istruttori la cantavano… Era diversa da quello sguardo che avevano le statue che aveva sempre visto torreggiare su di lei… Era sì una Madre severa, ma era una Madre dal cuore sofferente, diviso tra l’amore per i suoi figli e il desiderio di lasciarli liberi perché potessero crescere con le loro forze. Le prove che la Grande Madre poneva sul cammino dei protagonisti di quei racconti erano aspre e a volte crudeli, ma erano fatte così che solo i puri di cuore e di intenti, i coraggiosi e i valorosi potessero passarle. E sì, era una Madre la cui pazienza non doveva essere messa alla prova, ma era castigatrice e dispensatrice di un’inappellabile punizione per coloro che male usavano la loro forza, non per i deboli, nemmeno i più stolti.

Il contrasto di quelle storie si faceva tanto più forte quanto più tempo passava lontana da esse. Infatti fuori da quel tempio le cose non erano invero cambiate… Lelenia e le sue compagne erano sempre altezzose e crudeli nei suoi confronti. Le loro angherie erano tutt’altro che cessate: anche se le sue visite al tempio avevano loro sottratto molte occasioni, fecero tutto il possibile per fare in modo che quelle che rimanevano loro fossero le più infide e spietate… Ma soprattutto, quelle nuove prospettive nulla fecero per migliorare la sua arte della spada. L’unica cosa che sentiva con sempre crescente forza era il disprezzo per quelle che dovevano essere le prescelte della Madre e la convinzione che il volere di Amryza non potesse essere quello… Ma la vittoria continuava a sfuggirle… E troppe volte Lelenia stessa si divertiva nell’umiliarla nei duelli o nelle prove di forza o abilità… Eppure Drusinua era convinta di non essere indegna della Grande Madre, era convinta di avere nel cuore tutti i desideri di Amryza…