Non mi sorprende, tuttavia, il fatto che pure stavolta il mio tentativo non vada come da programma… In effetti l’aspetto giovane, pur se austero, della Direttrice, riesce spesso a distrarmi persino dalle conclusioni di alcune delle mie care “speculazioni”. Sarebbe a dire che a volte mi scordo che, benché all’aspetto sembri avere solo un pizzico sopra ai trent’anni, il tempo oltre la morte deve avere davvero scarso significato e che, quindi, la Direttrice potrebbe aver visto prima di me diversi secoli, se non di più, di ragazzine indisciplinate che provavano a farla franca con la tecnica del musetto contrito. Forse le mie preoccupazioni di eventuali capacità telepatiche sono davvero sprecate: in effetti, col tempo a disposizione della Direttrice per cercare di “rimettere sulla retta via” le pecore nere dell’Istituto, non servono davvero più poteri extrasensoriali per riconoscere uno sguardo poco convinto anche se ben celato… in fondo, per quanto ancora mi sembri strano, sono pur sempre solo una studentessa liceale… morta, per di più.
Anche se… A pensarci bene… Anche la storia della “Pecora nera” (metaforico anche questo animale, mi raccomando) non ha molto più senso della “Colomba bianca”… Cioè… Penso che la Direttrice abbia ormai un sacco di esperienza nel trattare studentesse “difficili”, ma, in realtà, sarebbe più logico pensare il contrario. Voglio dire: Pecore nere selezionate per diventare Angeli? Una rompiscatole in Paradiso deve essere una cosa piuttosto rara, quindi forse la Direttrice non ci è tanto avvezza, anche se magari è davvero telepatica… D’altra parte… No, non c’è verso di venire a capo nemmeno di questa storia. Cioè: se la Direttrice è abituata a trattare con “quelle come me” significa che a questo stadio possono accedere persone che hanno “scarse attitudini” a completare il “ciclo di studi”, il che mi sembra davvero una curiosa tolleranza per un luogo così… ehm… “Severo”. Ma anche l’idea di essere un caso isolato ha poco di credibile… Quale sarebbe la spiegazione? Un “Angelo” perfetto ed immortale si è distratto un attimo e ha marcato il mio nome sulla lista al posto di un altro? Davvero diverten… Ehm… Aspetta un attimo… Sono davvero partita per una delle mie “indagini” proprio mentre sono seduta di fronte alla Direttrice? Per di più l’ho fatto al posto di rispondere “Grazie Signora Direttrice” dopo che mi aveva così magnanimamente detto “Nessuno più di lei merita di diventare un Angelo”?
Complimenti Amabel… Sei davvero un capolavoro…
“Che succede, signorina Amabel? Non è convinta?” Riprende infatti la Direttrice non vedendomi reagire in alcun modo se non con quello sguardo incerto e un po’ tremolante che deve essermi rimasto appiccicato al viso mentre mi perdevo nei miei viaggi.
“N… No… Cioè: sì, Signora Direttrice, sono convinta… M…” Questa volta mi rendo conto un istante prima di quel “Ma” che sta per uscirmi dalla bocca e me le rimangio subito. So che è solo un modo di dire, di parlare, una incontrollabile reazione a una frase di circostanza… ma è proprio quello il problema: la mia reazione spontanea a questo posto è “Sì, ma…”. Cioè accetto quello che mi viene detto perché non ho molta scelta, ma sono contraria. Così rimango tesa come una corda di violino sperando che quella piccola lettera “nasale labiale” sia rimasta abbastanza ignota da non farmi finire di nuovo nei guai.
“Sì, signorina Amabel?” Mi sollecita però la Direttrice “La prego, non lasci le frasi a metà: desidero comprendere a pieno il suo pensiero” Mi suona un po’ come un invito a strangolarmi con le mie mani, ma, una volta ancora, il tono assolutamente cortese della Direttrice non lascia presagire nulla di simile. Persino essendo in precedenza finita nei guai più di una volta proprio per aver seguito questo suo invito, sento dentro di me l’impulso a fidarmi di questa sua affermazione, tanto è innocuo e gentile il suo tono.
“Sì… Sì, mi scusi, Signora Direttrice. Volevo dire… Volevo dire: sono convinta… Mi… Mi dispiace di averla costretta nuovamente a ripetermi cose che dovrei… dovrei aver ben chiare…”
“Sono davvero contenta di sentirglielo dire, signorina Amabel… E accetto volentieri le sue scuse. Sono dettate da una genuina comprensione di quanto abbiamo discusso, vero?”
“S… Sì, Signora Direttrice” Sento un “assolutamente” che prova a farsi strada, ma lo caccio giù dove ho già spedito il “ma” di prima. La Direttrice, però, sembra ignorare del tutto il mio intervento, il che non è un buon segno…
“…Perché non vorrei che invece la muovesse il timore di un qualche tipo di punizione. Questo sarebbe pregiudizievole per il suo percorso di studi…” Lo sguardo della Direttrice mi dice chiaramente che le mie capacità di dissimulazione hanno evidentemente finito di funzionare del tutto e, in effetti, anche io mi sento il cuore fare un balzo e il respiro farsi irregolare a sentire quelle parole. A questo punto, l’unica cortesia che la Direttrice mi può riservare è quella di impedire di rendermi ridicola tentando di negare anche questa sua osservazione… e così fa, dando per detta l’ennesima risposta di salvataggio che dovrei inventarmi “…Signorina Amabel… Lei è davvero una studentessa dalla mente brillante: avrà ormai ben presente anche lei che punire è un controsenso per il nostro Istituto. Siete tutti stati scelti perché siete “adatti”. Siete qui perché possiate diventare Angeli. Noi siamo qui solo per aiutarvi a compiere questo passo, non per giudicare i vostri sforzi. La ricompensa per l’impegno è il successo, non la nostra approvazione e, similmente, siamo certi che il non perseguire con il massimo sforzo questo percorso di elevazione sia già di per sé una “punizione” sufficientemente severa a cui non vogliamo certo aggiungere altro, certi che qualunque ipotetico strumento di correzione risulterebbe davvero misero di fronte all’idea di non riuscire in questo meraviglioso intento. Questo, ovviamente, non significa in alcun modo che l’Istituto non si curi di chi si trova in difficoltà, anzi, è un pensiero costante aiutare chi ha più bisogno di essere guidato lungo questo cammino. Semplicemente, l’Istituto è certo che tutti i suoi studenti desiderino massimamente raggiungere il risultato che è il medesimo che l’Istituto stesso coltiva: vedervi elevare a uno stadio di pace, felicità e serenità che non può avere eguali. Per questo tutti gli studenti godono della massima libertà. Le è mai stato impedito di fare qualcosa, signorina Amabel? Le è mai stato imposto un regolamento da rispettare?” Anche questa domanda è retorica, ma mi affretto a rispondere anche se ho sempre il cuore in gola e questo mi fa ancora inciampare nelle sillabe… D’altra parte comincio a sentire con sempre più chiarezza dove sta andando a parare questo discorso… E non mi piace… non mi piace per niente…
“N… No, Signora Direttrice”
“…Eppur tuttavia, una regola esiste. È l’unica regola che l’Istituto ha, ma è purtroppo imprescindibile. Essa vincola tanto gli studenti quanto il corpo insegnanti ed è in ossequio ad essa che mi prendo la libertà di invitarla così spesso a colloquio, signorina Amabel. In verità le dico che durante questi nostri incontri la vedo sempre piuttosto contrita e dispiaciuta, ma temo sempre che sia per il motivo sbagliato. Io temo sempre che lei sia dispiaciuta dall’aver deluso le mie aspettative o quelle dell’Istituto; badi che, se i miei timori sono fondati, la invito a liberarsi da questo peso perché, in vero, non fa altro che farle perdere tempo. E, proprio a proposito di tempo, signorina Amabel, sono io invece che sono sempre dispiaciuta di doverla distrarre tanto spesso dai suoi studi, ma lei sa che lo faccio solo perché spero che il tempo speso nei nostri colloqui le sia d’aiuto più dello studio che può intraprendere in classe o da sola, non è vero?”
“S… Sì, Signora Direttrice, è… È molto gentile da parte sua riservarmi queste premure…”
“Oh, signorina Amabel, io più che gentile spero che sia “utile”… Perché, per tutte le risorse che l’Istituto può offrirle in abbondanza per completare i suoi studi, lei sa che una è invece irrimediabilmente limitata, sa di cosa parlo, vero signorina Amabel?” Oh sì… Sì che lo so… E anche la Direttrice sa che lo so… Vuole sentirmelo dire, ma oramai il mio sguardo, che nervosamente a tratti sfugge al suo per andare a posarsi sull’enorme drappo scuro che copre parte della parete sul fondo della stanza, deve averle già detto che ho capito bene ciò di cui parla. E deve dirle anche che oramai il panico più totale mi sta salendo addosso come un’ombra strisciante.
“Il… Il Tempo, Signora Direttrice…” Mi esce a malapena dalle labbra mentre lei continua a fissarmi con quello sguardo compiaciuto e arguto allo stesso tempo.
“Oh, sì, signorina Amabel: è proprio così. È il tempo l’unica cosa che non possiamo offrirle senza limite. Questo è un luogo di transizione, come lei ha perfettamente capito. Una transizione, però, presuppone che essa sia un brano intermedio tra due punti, un passaggio, un intermezzo… una breve pausa, insomma. Anche se la vostra destinazione conoscerà una felicità infinita che non avrà alcun limite, qui, dove ancora non siamo avvolti nella beatitudine più sublime a cui potrete abbeverarvi, ancora un limite è rimasto… Purtroppo l’Istituto non può accogliervi per sempre: il suo scopo è quello di vedervi transitare attraverso di esso verso un altro luogo diverso da esso. Per farlo, per prepararvi, l’Istituto ha a disposizione lo spazio di una sola vita…” Non è la prima volta che sento questo discorso… E, immancabilmente, a questo punto mi accorgo sempre di avere la gola secca e provo a darle sollievo deglutendo, ma è faticoso anche quello. Mi sento così perché mi ricordo benissimo la prima volta che me lo dissero. Ricordo benissimo che anche lì non riuscii a esimermi dal fare l’arguta osservazione che “una sola vita” non voleva dire un granchè… Che vita? La vita di una sequoia gigante, quella di un moscerino, quella di un pachiderma o quella di un cane? Anche allora la mia arguzia fu spenta da una risposta davvero molto semplice: quale vita? La mia. “…Questo significa che ogni studente può passare qui da noi solo ed esattamente il tempo che ha speso in vita… Perché più si è vissuto più l’anima si sarà “sporcata” con la materialità del mondo terreno e più quindi ci sarà bisogno di purificarla. Al contrario, più breve è stato il tempo passato in vita, minore sarà la necessità di cancellare le tracce della materialità che hanno sporcato un’anima nata innocente. Per questo, signorina Amabel, ciascuno dei nostri studenti non solo ricorda di essere morto, ma anche quando, in modo che possa sapere come regolarsi nel proprio “Piano di studi”… Ora, signorina Amabel, lei è con noi da circa sedici anni, dico bene?”
“S…Sì” Mi esce a fatica, ancora una volta mancando di aggiungere il necessario “Signora Direttrice”
“E a che età ha invece concluso i suoi giorni mortali?”
“Sulla… Sulla soglia dei diciassette anni…”