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“Sì, così risulta anche a me, signorina Amabel. Normalmente, questo sarebbe per me un motivo di grande gioia ed è la contraddizione della mia posizione di Direttrice dell’Istituto. Amo con tutto il mio cuore ognuno dei nostri studenti e per essi farei qualunque cosa, ma, allo stesso tempo, mi trovo a desiderare che passino qui il minor tempo possibile. Sapendo quale meraviglioso futuro vi attende, persino la bellezza di questo Istituto, che tutti noi curiamo in ogni minimo dettaglio, impallidisce e finisce per sembrare solo un povero riflesso nel quale non vorremmo che tratteneste troppo a lungo la vostra permanenza” la Direttrice si ferma un istante mentre mi fissa ancora più intensamente, forse scrutando i primi segni evidenti di panico che sto cominciando inequivocabilmente a dare “Nel suo caso, invece – riprende poi – Ho sempre il dubbio che un maggior tempo qui all’Istituto potrebbe invero esserle d’aiuto… Ma, ahimè, questa è proprio l’unica cosa che non posso concederle. Il suo momento non è lontano, signorina Amabel e normalmente questo dovrebbe riempire anche lei di gioia… Ma vedo invece che sta tremando”
“I… Io… Signora Direttrice, io… Non… Io mi metterò d’impegno, seguirò le lezioni con maggiore attenzione, io…” Comincio quasi con un raptus, rendendo perfettamente evidente alla Direttrice che ho chiaramente riconosciuto il preambolo che sta facendo e che con tutto il cuore desidero evitare di arrivare un’altra volta a… a quello…
“Signorina Amabel… – mi riprende però lei – …pensavo di essere stata chiara nel farle capire che non è la sua attenzione in classe che manca, quanto piuttosto…”
“No… Cioè, sì – mi sorprendo addirittura ad interromperla con una voce che deve fare i conti con il cuore in gola che oramai rischia di scoppiarmi da un momento all’altro – Sì, Signora Direttrice, io… io ho capito perfettamente, le giuro che sarà diverso, le prometto che…”
“Signorina Amabel – mi ferma di nuovo lei rivolgendomi il suo più sfavillante, gentile e vittorioso sorriso – io non sono altro che la direttrice di questo Istituto: il mio compito è solo quello di fare in modo che ogni cosa vi metta a vostro agio. Non è a me che deve rivolgere le sue promesse; non sono io a valutare il suo corso di studi, ricorda?”
“Io… Sì, Signora Direttrice, io… Davvero, lo so. Non c’è bisogno che…” Ma è già troppo tardi. La mia repentina acquiescenza è davvero troppo improvvisa per avere alcunché di reale. Persino se avessi la calma necessaria per fingerla non riuscirei a farla sembrare credibile. E nella mia condizione attuale è chiaramente solo il riflesso condizionato di un condannato un istante prima che leggano la sua sentenza già scritta.
La Direttrice infatti si alza ancora una volta dalla poltrona, ma questa volta non va alla finestra… Oh, improvvisamente vorrei tanto che lo facesse. Vorrei tanto che ancora una volta mostrasse il severo disappunto che solo pochi minuti fa mi sembrava essere il peggiore dei mali, ma in realtà so bene che mi faceva quell’impressione perché sapevo che quel disappunto era l’anticamera che non portava però a quella finestra… ma a quel drappo scuro sulla parete in fondo alla stanza.
“L’unica persona che davvero conta per giudicare il suo operato, signorina Amabel, è lei stessa” Mi dice con calma mentre compie i pochi passi che la separano dal tessuto vellutato che copre la parete “…Ed è quindi a lei sola che deve rivolgere queste promesse. Apprezzo però questo suo atteggiamento, anzi, voglio incoraggiarlo. Perché quindi non viene a rinnovare i suoi buoni propositi di fronte all’unica persona che ha il bisogno di sentirli?” E dicendo questo tira gentilmente verso il basso il cordone dorato che sta a fianco del drappo. Con un gesto davvero istintivo e stupido io mi volto dall’altra parte. È stupido perché non serve a niente se non a dare un ulteriore segnale di quanto sappia di essere colpevole.
Non si può non guardare lo Specchio.
Lo Specchio, lo Specchio dei Cieli che sta dietro alla tenda nella stanza della Direttrice.
Piano piano il mio capo si volta da solo, nonostante tutto lo sforzo che impiego per impedirglielo. In vero si deve vedere che faccio resistenza e ogni volta mi chiedo quindi se, con la giusta forza di volontà, si possa davvero impedirsi di volgere lo sguardo verso lo Specchio. Ma in ogni caso è solo un altro pensiero inutile: io sono troppo debole e alla fine sto già guardando verso la parete.
In un ultimo futile quanto disperato tentativo cerco di far sfuggire almeno gli occhi che, anche se sento di non poter chiudere, riesco, almeno all’inizio, a far indugiare sulla cornice e su tutto quello che non sia il Riflesso. La cornice è il mio ultimo baluardo: è così bella e riccamente decorata che spero sempre possa attirare la mia attenzione all’infinito; è intarsiata finemente nel legno dalle venature più belle e percorsa da decorazioni di metalli preziosi che si intrecciano come se fossero cresciuti nel legno stesso. La cornice ha solo tre lati: la lastra continua verso il basso fino a toccare il pavimento. Lo Specchio è grande, enorme. No, non gigantesco o immenso, ma grande abbastanza da occupare buona parte della parete e andare dal pavimento al soffitto. Abbastanza grande da assomigliare a… Una Porta, di quelle a due battenti… Oh, non è un caso, ovviamente…
Questo è un luogo di transizione, come ha ben detto la Direttrice… un luogo dal quale prima o poi bisogna andare via… e c’è solo un modo per andarsene di qui, una sola strada… Una sola Porta… E io ora ci sto davanti.
“La prego, signorina Amabel, si avvicini, così potrà meglio esplicarsi i suoi propositi” Mi invita la Direttrice con un modo tanto cortese da avere nelle mie orecchie un eco quasi sadico. Sa che non voglio, sa che cosa mi succederà… E non gliene importa. No, peggio: pensa sia esattamente quello che merito.
Ormai anche la cornice non riesce più a tenermi distante dalla superficie dello Specchio. Ora la sto fissando mentre il mio capo ancora trema. È come se provassi a volgerlo altrove, ma due mani me lo tenessero rivolto in avanti; non due mani di pietra, due mani che mi costringono con la massima delicatezza e però allo stesso tempo, proprio come la pietra, sono inamovibili. “Sono le Mani di Dio” ho sempre pensato e questa volta non è diverso.
Sono già terrorizzata, anche se quello che sto guardando adesso non è altro che la patetica immagine di una ragazzina di sedici anni seduta su una sedia bellissima a cui si artiglia con le mani come se fosse l’ultima cosa rimasta al mondo. La Direttrice a questo punto è solo una presenza secondaria là, oltre il lato dello Specchio, ma il suo sguardo non manca di farsi sentire ugualmente. Non so se sia un suo potere o se invece derivi dallo Specchio, ma, anche se per qualche secondo ho esitato, alla fine obbedisco anche al suo ordine e mi vedo alzare e muovere dei passi malfermi verso… me stessa…
“Ecco, brava – si complimenta la Direttrice – Ora prenda pure il suo tempo… Sono certa che, anche se non ne rimane molto, sarà di certo ben speso” La sento appena, la considerazione della Direttrice, mentre la mia attenzione è tutta focalizzata su quel rombo distante che sento venire dall’altra parte dello Specchio.
Una devastante sensazione di Infinità viene da quella soglia, come se guardando attraverso di esso si potesse vedere l’intero Universo. No, non come se ci si potesse affacciare su un pozzo nero di cui non si vede la fine, ma proprio come se si potesse vedere, percepire tutto l’Universo insieme sentendo la sua grandezza che ti sovrasta e ti schiaccia… Sentendo soprattutto che non sei in realtà tu che lo stai guardando, ma il contrario. Ancora una volta non posso fare a meno di pensare che questa sia la sensazione di guardare Dio negli Occhi.
Per quanto spiccato sia il mio scetticismo, non è mai stato in grado di dubitare che quella di fronte ai miei occhi sia una Porta e non una sorta di schermo che non può fare altro che invertire il cammino della luce per farla tornare ai nostri occhi. Sento soffiare il vento che viene dall’altra parte… e sento che mi scorre su ogni centimetro di pelle; eppure allo stesso tempo sento che devo puntare i piedi perché lo Specchio tenta di inghiottirmi. O forse no, forse non tenta affatto, forse sono io che scivolo verso di lui come una falena attratta dalla luce, anche contro la mia volontà. Sì, è così, perché lo so, lo sento, che se davvero lo Specchio volesse io non potrei assolutamente nulla, così piccola ed insignificante come sono.
Respiro ormai veloce come un topo pazzo di paura, che è esattamente quello che sono. Mentre ancora fisso la stanza riflessa, tento, come sempre, di resistere al panico più nero con il banale rimedio della speranza. Spero. Spero che qualcosa sia cambiato dall’ultima volta. Spero che stavolta sia diverso. Spero che questa volta non accada nulla.
Spero invano.