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Riesco poco a poco ad allontanare il pensiero dal dolore e dal ribrezzo, in parte grazie a quella tenue speranza, in parte perché il dolore da traumatico è diventato cronico. Guardare lo Specchio è come fare un passo in un’altra vita. Lo Specchio non mi ha fatto del male. Mi ha solo portato “al di là della soglia”, a quello che mi attende una volta lasciato questo posto. In un altro posto, in un altro tempo. Forse nel futuro, forse nel passato. Ma quello che mi ha carbonizzato un braccio, divorato un occhio e strappato una gamba non è stato lo Specchio. È stato ciò che troverò al di là di esso. È stato il mondo al quale sono destinata. Lo Specchio ha solo fatto in modo che io non mi limitassi solo a vedere che fine farò, ma ha fatto sì che io sapessi, provassi ciò che mi attende.
Ora che la trasformazione è terminata, sento il dolore e l’orrore della mia condizione proprio come se li portassi da anni, non ho nemmeno la sensazione dell’arto fantasma né alla gamba né al braccio… e ho freddo. E come il freddo comincio a non ricordare più di aver mai avuto aspetto diverso da quello. Solo la mano della Direttrice sul mio viso me lo ricorda.
Ecco perché le sono grata.
Tremo vistosamente mentre mi tengo in equilibrio su una gamba sola, fisso dritta di fronte a me e cerco ostinatamente di trattenere il pianto, anche se il mio aspetto e le sensazioni di tormento che il mio corpo martoriato mi comunica rendono il compito di mantenere un contegno davvero difficile.
Continuo a ripetermi “Non sono di lì, non sono di lì” e a cercare di ricordarmi cosa farei se avessi i capelli biondi e gli occhi azzurri. Cerco di ricordarmi come mi comportavo mentre ero a colloquio con la Direttrice, anche se sembra avvenuto una vita fa… E probabilmente è proprio così.
A questo punto della mia contemplazione, una domanda torna sempre puntuale. È una domanda che mi faccio spesso anche quando non sono al cospetto dello Specchio, ma che qui torna sempre immancabile.
È così che sono morta? No, mi rispondo quasi subito, perché la cosa più orrenda della cosa che vedo nello Specchio è che non è affatto morta.
È viva e sta soffrendo.
Sono viva e sto soffrendo.
La lingua ulcerata mi fa male mentre preme nervosa contro il palato, ma non dico niente. Guardo solo davanti a me e aspetto, spero che sia la Direttrice a dire qualcosa, qualunque cosa. Anche il più terribile rimprovero, persino, anche se so che non capiterà mai, il più acido scherno per il mio ridicolo comportamento.
Voglio solo che mi porti via. Che finisca questa tortura.
E nel frattempo guardo lo Specchio e tutto ciò che c’è intorno a me. Io non sono che il frutto marcio di ciò che giace al di là della soglia. Lo Specchio non mi ha immerso solo nel mio “nuovo” corpo, ma anche nel mondo che lo accoglierà.
A perdita d’occhio non vedo che questa distesa di terra buia, fredda e rugginosa. L’aria riempita da quella polvere putrefatta che striscia dentro ai miei polmoni per farli marcire a loro volta. Qua e là, in lontananza, infine la mia mente prima troppo sconvolta dal dolore vede altre figure. Sono uomini o ciò che di loro è rimasto. Curvi e ferali si muovono tra quelli che sembrano rifiuti o forse macerie. Non riesco a distinguere. Non c’è luce a sufficienza. Non viene molta luce dal cielo, una coltre di fumi cancerogeni lo copre. Forse da qualche parte al di là di essa c’è un sole che fornisce la poca luce che c’è… ma so che se i suoi raggi bruciano la pelle più della pioggia che può cadere dalle nubi velenose.
Ho paura.
Ho voglia di fuggire.
Ho voglia di morire.
“Signorina Amabel?” Chiama chiara e tranquilla la voce della Direttrice. Io inspiro a singhiozzi, cercando di non far vedere quanto profonda sia davvero la mia disperazione e, nel frattempo, cerco di ripercorrere l’infinità di tempo che mi separa dalle cortesie sociali che una volta sapevo essere importanti per risponderle. Ma non sono chiamata a questo sforzo, ancora. “Signorina Ambabel, lo Specchio dei Cieli mostra ad ognuno di noi dove condurrà la strada delle nostre azioni. Scioglie la matassa di vaghezze e incertezze di cui è fatto il tempo nel creato che non è puro spirito. Mostra, se vuole, il luogo in cui troveremo il nostro futuro una volta lasciato l’Istituto… Io ora non posso sapere cosa stia vedendo lei in questo momento, ma vedo che sta tremando… e non per un meraviglioso stupore… E, soprattutto, guardando nel mio riflesso nello Specchio, io non vedo lei… E questo può solo significare che non saremo nello stesso luogo… E questo è ciò che più mi addolora… Perché sembra voler dire che lei non si sente ancora pronta per raggiungere la serenità del Paradiso…” Sento la presa della Direttrice farsi più salda. Sto ancora scivolando verso lo Specchio e lei mi sta trattenendo. Ricordo vagamente che anche le altre volte era stato così, pare che sia sempre così. Non si può non fissare lo Specchio e, fissandolo, sembra impossibile non scivolare verso di esso, tanto che ricordo di aver formulato l’ipotesi che se si fosse messi di fronte allo Specchio senza aiuto, ci si scivolerebbe dentro attraversando la soglia anche se il proprio momento non fosse ancora giunto, anche se, nel mio caso, non sono ancora sulla soglia dei diciassette anni. Ricordo di aver pensato che forse quel momento è solo il momento in cui lo Specchio comincia a volere che tu lo attraversi e, per questo, cessa di esistere l’alternativa. Prima di allora, però, guardando lo Specchio forse sei tu a desiderare di perderti in esso…
Istintivamente mi aggrappo al braccio con cui la Direttrice mi avvolge il capo, come a implorarla di non lasciarmi andare. Nel farlo scosto la mano dal mio occhio rivelando un’orribile cavità nera circondata dal sangue purulento e rappreso. Un’altra scossa di ribrezzo mi percorre e il mio piede sembra perdere ancor di più la presa lasciandomi sempre più dipendente dalla stretta della Direttrice.
“L… La pre… prego… – balbetto a fatica con la lingua gonfia che mi impedisce di parlare chiaramente e il pianto colmo di paura che oramai comincia a farsi strada nella mia gola –…non voglio. Non voglio finire all’Inferno…” Singhiozzo in un supplica sinceramente terrorizzata. Ma, come le altre volte, questo mio ultimo gesto di resa, questa mia volontaria dimostrazione di debolezza, non sembra colpire affatto la mia Tutrice.
“Oh, no. Certo che no, signorina Amabel” Puntualizza subito lei senza alcuna fretta, mentre io mi sento sempre più vicina alla soglia “Non permetteremmo mai che un’anima tanto pura da essere giunta fino a questo punto cada all’Inferno solo perché non ancora pronta. Quella che immagino lei stia guardando con quei suoi bellissimi occhi azzurri è la sua seconda possibilità. È il mondo dei vivi in cui la lasceremo tornare perché si dimostri nuovamente degna. Tornerà là dove bisogna uccidere altre creature per mangiarne le carni, per sopravvivere. Là dove il suo corpo si potrà lacerare e logorare per la più banale delle cause facendole provare infinito tormento. Là dove il freddo e il caldo la faranno tremare le membra o seccare la gola. Là dove la paura della morte e del dolore metteranno alla prova il suo animo immortale… E, se sarà buona, se sarà ubbidiente, se sarà in grado di seguire il volere di Dio nonostante tutte le prove che la carne la costringerà a subire, allora sarà di nuovo giudicata degna di diventare un Angelo… E tornerà qui da noi” È la prima volta, da quando abbiamo cominciato questo colloquio, che la Direttrice pronuncia il nome di Dio… Mai una volta, mai, nemmeno nelle sue più severe reprimende pronuncia quel nome. Nelle sue frasi c’è sempre un sottointeso rimando a una volontà superiore che ha posto in essere l’Istituto, che ci ha scelti, che ha disposto questa strada… Ma mai questa volontà ha un nome… Tranne che davanti allo Specchio.
È come se lontano da esso io debba capirlo da sola, debba percepirlo, debba crederlo, ma una volta qui, una volta che ha dovuto mettermi di fronte allo Specchio, non ci sia più ragione di avere fiducia nelle mie capacità. Sono stata messa di fronte allo Specchio perché avevo bisogno di una dimostrazione, perché non sapevo credere e quindi la Direttrice può pronunciare quel nome, per metterlo di fronte ai miei occhi, proprio come ha fatto con il mio futuro attraverso lo specchio.