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“Ha paura, signorina Amabel? Ha paura di quello che vede?” Mi sussurra all’orecchio la direttrice. Io annuisco immediatamente con il capo, spalancando l’unico occhio rimastomi, mostrando un’espressione che credo non possa lasciare dubbi su quanto desideri che tutto finisca
“S… Sì! Sì! La prego…”
“Ecco, signorina Amabel… Ecco: quando siamo a colloquio lei spesso mi riferisce di cose che trova incomprensibili, cose che, sono certa, se non rispettasse la mia autorità in questo Istituto, mi riporterebbe come “assurde”. Ecco, signorina Amabel, che cosa io trovo assurdo: lei ha già vissuto nel luogo che in questo momento le fa tanto orrore. Lei, di fronte alla tortura di quel mondo finito e imperfetto, lei, signorina Amabel, proprio lei, ha obbedito alla parola di Dio e ha seguito il cammino tracciato per lei nonostante la putrefazione della carne e il dolore delle membra. Per questo lei è giunta qui all’Istituto. E, ora che è qui, noi non le chiediamo di fare altro che quello che ha fatto in vita, di obbedire al volere di Dio, di seguire la strada che è stata tracciata per lei, per premiarla perfino. E lei, qui, ora, in un luogo quanto mai vicino al Paradiso, senza il dolore della carne e con la maggiore perfezione che sia permessa a ciò che non è puro spirito, qui lei, signorina Amabel, non riesce a mostrare la sua dedizione allo stesso modo. Questo è ciò che io trovo assurdo. È di questo, signorina Amabel? È di questo che ha bisogno? È di quello che vede nello Specchio che ha bisogno per seguire gli insegnamenti del Cielo? È per questo che desidera tornare nel mondo dei mortali? Perché senza di esso, senza il dolore che noi volevamo risparmiarle, lei non è in grado di comprendere la grandezza di Dio?” Ora le braccia della Direttrice non mi avvolgono più in un rassicurante abbraccio, ora è diventata una stretta. Il suo tono ha perso la gentilezza, anche se non ha dimenticato la cortesia. La severità in cui si flettono le sue parole stigmatizzano la mia ingratitudine e il torto che ho fatto a questa grande occasione che mi era stata concessa.
“Mi… Mi dispiace…” Riesco a malapena ad articolare mentre non trattengo più il pianto terrorizzato che si tinge di vergogna. Mi sembra così lontano il tempo in cui mettevo in dubbio il senso di questo percorso… Ma ho troppa paura… Provo troppo dolore… Voglio solo che tutto finisca.
“Ma certo, signorina Amabel, io le credo…” Mi risponde la Direttrice ritornando alla sua solita espressione di pacato nume tutelare con la stessa repentinità con cui prima l’aveva scambiata per la severa ammonizione celeste. “Ma desidero immensamente che lei ci creda. Vorrei con tutta me stessa che lei riuscisse a ritrovare la sua convinzione in questo percorso di studi anche senza l’ausilio di questa “reminiscenza”… Crede di riuscire a farlo, signorina Amabel? Crede di riuscire a farlo non per me, ma per lei stessa? Per quella signorina Amabel che ora io non sto vedendo nel Sacro Specchio dei Cieli?”
La domanda mi dovrebbe suonare retorica, ma la convinzione e il coinvolgimento con cui la Direttrice la pronuncia sono quanto di più autentico credo potrei mai sentire. Sono io che sento la mia risposta vuota e contaminata dalla paura che la spinge su per la mia gola.
“S… Sì… Io… Io lo farò…” Pronuncio appena, mentre mi costringo con ribrezzo a fissare la mia forma deturpata, così da esaudire il desiderio della Direttrice di esporre questi terrorizzati buoni propositi a me e non alla mia severa Tutrice. È una formula davvero da poco, me ne rendo conto, ma è l’unica in cui le parole non tracimino di terrore tanto da farle sembrare false. Potrei promettere che obbedirò, che farò ciò che mi verrà detto, ma, anche con la mia mente sconvolta, riesco a capire che non vi sarebbe nessuna vera convinzione in queste formule, sarebbero e suonerebbero solo come i modi di dire suggeriti dal più sconfinato desiderio di evitare il fato che vedo al di là dello Specchio… Il terrore che questa visione mi ispira passerà. Lo so. È già successo. E lo sa anche la Direttrice che già altre volte ha scoperto lo Specchio perché io vi guardassi attraverso. E, se fosse solo questo terrore, destinato a svanire dalla mia mente una volta lontana dallo Specchio, a farmi obbedire, temo che pur di “aiutarmi nel mio percorso di studi” non esiterebbero a ripropormelo con maggiore frequenza… E io non voglio più tornare a sentire il mio corpo mutilato e arso e a vedere il mio viso sfigurato e avvizzito.
Non ho modo di sapere quanto questo patetico tentativo di non sembrare pazza di paura mentre sono ovviamente preda del panico più nero possa aver funzionato, ma forse il terrore che il mio unico occhio tracima può giocare almeno una carta a mio favore. Sono al limite. Ogni singola fibra del mio corpo patisce un dolore crudele e ogni mio pensiero è riempito dalla paura. Non posso più contenerne altra. Almeno quanto a questo, la mia presenza davanti allo Specchio altro non può darmi.
Così forse è per questo che la Direttrice infine decide che è abbastanza e solleva elegantemente un braccio, rivolgendo come un cenno verso il lato dello specchio… e il cordone dorato della tenda obbedisce, lasciando che essa si richiuda.
Ma, nel vedere i drappi scuri chiudersi davanti a me, sento di essermi sbagliata… Sento che ho ancora posto per provare altra paura. Il terrore che mi rimane da provare è quello che mi assale mentre sento che lo Specchio svanisce… ma dalla parte sbagliata.
Il drappo cala chiudendo la porta, ma lasciandomi sul lato sbagliato, sul lato da cui voglio fuggire. Urlo forte mentre cerco di attraversare almeno l’ultimo spicchio di portale rimasto, mentre cerco di lanciarmi in avanti pur se con una gamba sola posso permettermi un unico passo prima di dover strisciare. Ma non ci riesco: qualcosa mi tiene ferma, mi imprigiona impedendomi di lasciare quel luogo di dolore mentre il sipario ormai è quasi del tutto calato. Mi dibatto e grido e piango per la disperazione, ma non c’è nulla da fare, la presa su di me è salda anche se gentile e non mi resta che vedere la mia immagine scomparire del tutto dietro al panneggio del tessuto scuro, interrompendo per sempre la strada.
Piango un “Noooooo!” davvero svuotato di speranza e di ogni capacità di reagire, mentre anche i miei tumulti per sfuggire alla presa cessano, privati di energia. Approfittando di questo momento di calma le braccia che mi tengono mi voltano piano e mi stringono con più delicatezza.
“Shhh…” Sussurra una voce decisa ma avvolgente per calmare i miei tremiti. Io istintivamente mi aggrappo a quell’unico briciolo di gentilezza che deve essere rimasto in quel mondo trasfigurato dalla sofferenza e mi stringo a quelle braccia sconosciute che mi avvolgono.
È solo allora che la coscienza ritorna. È solo allora che sento che mi sto stringendo con entrambe le braccia al mio baluardo. È solo allora che sento che il dolore è svanito, che il mio respiro è sfuggito alla ruggine rossa… che i miei capelli sono biondi. È solo allora che mi rendo conto di essere davvero tornata.
Piano piano ritorna il ricordo di tutte le altre volte e di come sia sempre stato così, di come lo Specchio inghiotta a tal punto la coscienza, la percezione, la realtà che, fino all’istante in cui sparisce da davanti agli occhi, ciò che mostra diventa l’unica verità che si conosca.
La Direttrice mi stringe al suo petto con un gesto davvero gentile, ancora una volta proprio come una madre farebbe con una figlia svegliatasi da un terribile incubo. Io ormai riesco a ricordarmi molte cose, ma la paura è ancora forte, fortissima. Così, anche se mi ricordo già molto bene quanto inappropriato sia quello che sto facendo e quanto in realtà mi dovrebbe intimidire la figura della Direttrice, non riesco a impedirmi di stringermi un poco di più in quell’abbraccio per cercare di scordare più in fretta.