Tenshi no Namida


Drusinua ovviamente non immaginava nulla di tutto questo… era troppo giovane e ingenua per immaginare un meccanismo così meschino. Eppure le bastò intravedere il viso del cavaliere oltre le sbarre, mentre lo conducevano in cella con i polsi legati per capire tutto. Incrociò lo sguardo per un solo secondo… e se lo avesse visto triste come sempre non avrebbe davvero capito… Ma invece sorrideva… E lei lo capì

Capì che era felice perché sapeva che per uccidere lui avrebbero lasciato vivere lei. Capì che non avrebbe negato, non avrebbe tentato di sfuggire alle accuse… Perché anche se lui aveva probabilmente capito cosa stesse succedendo, essendo più versato in cosa il tradimento significasse, non amava quella sua vita svuotata di significato abbastanza per non scambiarla con il sorriso sulle labbra per quella di una giovane elfa che poteva ancora trovare la sua strada…

E allora quella sua catatonica contemplazione della natura dei suoi fratelli fu spezzata. Lanciandosi contro alla porta, aggrappandosi alle sbarre, tentando di vedere dove lo portavano gridò il suo grido più forte; un “NO” più lungo di qualunque urlo di battaglia, pieno di una disperazione che non si prova nemmeno davanti alla spada del proprio nemico mentre ti colpisce a morte. Urlando di lasciarlo andare tese il braccio tra le sbarre come per riuscire a toccarlo, la voce già rotta da quel disonorevole pianto, le sue implorazioni già rese tanto inquiete da sembrare quelle di una pazza rinchiusa con la sua peggiore paura immaginaria. E quando il cavaliere svanì dalla sua vista, lanciandole un ultimo sguardo che sembrava dirle di calmarsi perché tutto sarebbe andato bene, lei non si calmò: continuò a piangere, a gridare, disperata, che non era vero, che lui non ne sapeva niente, che confessava, che era stata lei, che aveva tradito la Grande Madre, che era lei che dovevano punire, che dovevano uccidere. Li implorò addirittura, li supplicò… Ma non c’era davvero nessuno ad ascoltarla, forse solo una guardia in fondo al corridoio che la trovò troppo patetica anche solo per batterla per farla star zitta… E se anche ci fosse stato qualcuno… Chi avrebbe mai creduto a un’inutile allieva incapace?

Tacque solo quando la condanna a morte fu eseguita… non vi fu alcun avviso… nessun suono che la annunciasse… Nessun corpo che passasse davanti alla sua cella per farglielo capire… Ma lei lo seppe al di là di ogni dubbio… Fu qualcosa nell’aria… che era cambiato… Come se tutto quello che c’era di gentile nel mondo fosse sparito per sempre… Come se il mondo fosse improvvisamente diventato un posto ancora più cupo, ancora più freddo… E per lei era esattamente così… Il senso di vuoto la prosciugò di ogni forza… Di piangere, di reggersi in piedi, di proclamarsi colpevole, di dirsi innocente, di mangiare, di bere, di pensare ad alcunché se non a quel freddo che era improvvisamente calato.

Tornata seduta al centro della sua cella accasciata su se stessa, non faceva che chiedersi se era così che si erano sentiti i mortali quando gli Angeli se ne erano andati.

Svanita qualunque preoccupazione per la sua sorte, se mai l’aveva provata. Svanito anche lo stupore per il tradimento. Svanito persino il pensiero di come servire Amryza perché fosse orgogliosa di lei… Rimaneva solo quella domanda… l’unica eredità di un cavaliere di cui non conosceva nemmeno il nome: “Che cosa desideri davvero?”… E una canzone… Quella canzone bellissima e triste che l’aveva catturata in quei giorni che già le parevano gli unici che avesse mai vissuto sul serio… Fu quella a spingere di nuovo il fiato che non voleva trovare nella sua gola. Fu quella melodia che prese il posto dei singhiozzi o delle urla… E ora sì… Ora sì che assomigliava a quella del cavaliere… Ora sì che aveva la stessa tristezza… ora sì che il cuore e l’aria vibravano come nel tempio… Ma ancora non era la stessa cosa.

Quelle ultime parole… Quella parte in cui la melodia parlava di un giorno in cui tutto sarebbe andato bene, in cui parlava di una vita che poteva essere felice… Lì non assomigliava affatto alla canzone che aveva ascoltato… Forse perché per lei… non assomigliava affatto alla verità.

Anche quelle parole erano svanite quando, dopo giorni di prigionia, le guardie vennero a riprenderla. Senza che opponesse alcuna resistenza la condussero fuori dalle caverne, verso l’Altare dei Giudici. Se l’indagine e il processo al cavaliere furono resi celeri nel tentativo di non lasciare che sorgessero troppi dubbi, la notizia della sua morte, giunta per necessità burocratiche alla capitale, non doveva essere passata inosservata. Qualcuno doveva aver chiesto che sulla vicenda fosse fatta “piena luce”, sul luogo inviati degli emissari perché udissero e vedessero da osservatori esterni, imparziali, cosa fosse successo. Ed eccoli lì, sui troni dell’Altare dei Giudici, sui seggi coperti che la tradizione aveva loro assegnato, mentre la pioggia cominciava a scendere insistente su quella inutile allieva che veniva trascinata al loro cospetto perché spiegasse.

Ma oramai, era tutto inutile. Era solo una formalità. Il tradimento non era ordito da dilettanti. Ciò che doveva essere fatto, ciò che doveva essere nascosto, era stato fatto in fretta e al di sopra di ogni sospetto. Il cavaliere aveva confessato spontaneamente, pur di salvarla, la testa dell’orco era stata presentata ai Giudici, lo stato di servizio impeccabile declamato e confermato da tutti quelli che contavano. I pezzi erano tutti al loro posto. Lei doveva solo fare un cenno del capo, dire di sì, che era andato tutto così e quella “inchiesta ufficiale” sarebbe stata chiusa per sempre. Lei sarebbe stata castigata, ma sarebbe vissuta. Se avesse contraddetto tutto, avrebbe solo dimostrato di essere una traditrice consapevole e che non prova vergogna nel tentare di ribaltare una realtà tanto evidente o che li riteneva abbastanza stupidi da credere alle sue puerili menzogne. Una incapace arrogante non degna di Amryza. E l’avrebbero giustiziata.

Come ogni momento della sua vita, anche quel giorno non era che una inutile pedina.

“Conosci le accuse, allieva Drusinua?” Le domandò l’Alto Giudice. Conosceva la risposta giusta.

“Sì” Disse solo senza la forza o la voglia di alzare lo sguardo

“Abbiamo una dichiarazione d’onore” così la chiamano la firma su una condanna a morte, pensò Drusinua “del Cavaliere Quarion Siannodel su quello che è successo. Ne sei a conoscenza?” Chiese rivelandole per la prima volta il nome che non aveva mai avuto il cuore di chiedere. Conosceva la risposta giusta.

“Sì” Proferì con la pioggia che le cominciava a solcare il volto come le lacrime che non aveva più animo di piangere

“Sai quanto è in esso descritto?” domandò come da procedura il Giudice. Conosceva la risposta giusta.

“Sì”

“Confermi quindi quanto illustrato? Confermi di essere stata da lui circuita e ingannata perché fornissi informazioni ai nemici del nostro popolo, allo scopo di ordire e tramare contro i Figli di Amryza?” Conosceva la risposta giusta. Quella che i Giudici volevano sentire per chiudere quel noioso e banale teatrino che la pioggia rendeva ancor più sgradevole. E conosceva anche quella che volevano sentire il funzionario e le sue “care” sorelle e fratelli di corso, chiamati su quella stessa piazza perché il processo fosse regolare e che da sotto i cappucci e i mantelli che li riparavano dalla pioggia le rivolgevano il sorriso e lo sguardo più compiaciuto, consci che quello era, in assoluto, il tiro più bello che avessero mai giocato a quella spregevole nullità. E conosceva persino quella che le sentinelle e gli altri convenuti volevano sentire per avere finalmente qualcuno di adatto e certo da disprezzare che rinfocolasse la loro fede in Amryza e nei suoi campioni.

Ma in quel freddo che era calato sul mondo, in quel silenzio che la voce del cavaliere aveva lasciato, in quel vuoto che le era rimasto quando la voglia di vivere era fuggita da lei… C’era tutta la quiete che non aveva mai avuto… Tutta la quiete per sentire chiara più che mai la Domanda… “Che cosa desideri davvero?”… Tutta la quiete per sentire infine che, privata di tutto, ora che non le era rimasto altro che quel quesito, quella risposta le rimbombava da lungo tempo nel profondo del cuore.

Non la risposta giusta.

La sua risposta.