Tenshi no Namida


No” Pronunciò mentre i suoi muscoli si tendevano nervosi, nell’ondata di energia che quella certezza le portava.

“Affermi quindi che ha mentito e che hai una diversa versione da proporre a questo consiglio?” Chiese l’Alto Giudice solo lievemente destato dalla noia di quella procedura, forse più per fastidio di dover prolungare la cosa che per interesse

No” Ripetè Drusinua mentre i suoi occhi si alzavano verso i suoi Giudici carichi di una forza, di un desiderio che era quasi percepibile nell’aria di quel giorno di pioggia “No, io affermo un vigliacco come l’Istruttore Amakiir non ha alcuna autorità di muovermi alcun tipo di accusa” Pronunciò quasi digrignando i denti.

Un po’ più interessato agli sviluppi della vicenda, l’Alto Giudice si risistemò sul suo seggio sul quale la noia lo aveva un po’ troppo adagiato. Persino il funzionario, attorniato dai suoi fedeli allievi ebbe una vaga reazione, anche se più di ilarità che di sorpresa: in fondo aveva sempre saputo quanto fosse stupida

“Allieva Drusinua, devo ricordarti – cominciò l’Alto Giudice – che in quanto tuo istruttore, egli è perfettamente nella posizione per…” Ma non riuscì a concludere la frase

“E rifiuto anche la vostra di autorità di giudicarmi” Osò interromperlo la ragazza, il cambiamento nel suo animo ormai visibile nella forza che il suo intero corpo aveva preso, ora eretto come in segno di sfida verso tutti i presenti.

Questo sì che fu inaspettato. Tutto si fermò per qualche istante come se tutti volessero accertarsi di aver capito bene.

E avevano capito benissimo.

“Ragazzina – la ammonì il Giudice, sollevando un dito minaccioso – Tu forse non comprendi…” Ma nemmeno questa frase fu completata

“Non accetto il giudizio di nessuno di voi! Solo la Grande Madre potrà dirmi se L’ho delusa e ho mentito, o se ho il Suo Favore e sono degna di servirLa! Chiamo Amryza a essermi Testimone e Giudice!” Gridò spazzando l’aria davanti a sé con un braccio, come se lanciasse con essa quella sua sfida sprezzante!

Sotto il cappuccio l’istruttore rise un poco, perché quella scema doveva essere davvero uscita di senno e la cosa sarebbe diventata ancora più divertente di quanto fosse patetica. Ma l’Alto Giudice non rise affatto. Quello che la ragazza aveva invocato era una tradizione ben precisa e molto grave. Chiedeva di essere messa alla prova davanti alla Madre. L’aveva invocata in quel Tribunale. E un giudice non ride di fronte alla Madre.

E c’è un solo modo in cui un guerriero può provarsi degno di fronte alla Madre.

“Datele una spada” Disse solo freddo il Giudice. A loro volta divertiti, gli splendenti allievi si adeguarono alla folle volontà della ragazza e sguainarono le spade, mentre, con il sorriso sulle labbra che faticava a trattenere, l’istruttore rivolse uno sguardo al giudice e si fece qualche passo più indietro, lasciando intendere che non avrebbe voluto rendere inutile quella scenata, gettando sul piatto anche la sua spada che era davvero fuori questione quanto valesse. Il giudice comprese subito, ma acconsentì solo con un gesto della mano, ora troppo intrigato dallo sguardo di quella presunta traditrice che sembrava ardere in un modo inquietante.
Quando le dita di Drusinua si strinsero sull’elsa dell’arma che le consegnarono il suo sguardo volse verso i suoi giovani avversari ghignanti che, avendo diritto di attaccarla tutti assieme, si aprivano a ventaglio come un branco di lupi e uno di loro, vincitore di un tiro a sorte la puntava diretto con il privilegio di cominciare la sua umiliazione.

La pioggia batteva, ma lei non aveva freddo. Non per quello. Il freddo era per quello che aveva perso per sempre. E, sì, sembrava che il mondo fosse più freddo, ora che non c’era più lui. E, sì, il Paradiso sembrava davvero non essere mai stato così lontano… Ma la Dea, La Grande Madre, Amryza, quella che lui le aveva detto essere dentro di lei, la Verità, lei stessa, la sua Risposta… Quella non era mai stata così vicina!

Ora che l’acciaio era nella sua mano, ora, mentre il suo avversario si avvicinava, i suoi stivali non facevano rumore nel terreno infangato. Tutto quello che Drusinua sentiva era il suo cuore che batteva veloce. No, non forte. Veloce. Batteva la base veloce e ritmata di una musica. E il peso della spada che le oscillava in mano erano le note di una melodia che le stava salendo dal cuore, come un’onda di marea che aspetta di schiantarsi sulla spiaggia ripeteva un arpeggio in crescendo mentre il suo respiro che saliva e scendeva ritmico era il fruscio di una spazzola d’acciaio che vibrava su un piatto di ottone, caricando la tensione.

Quando il giovane arrivò da lei i loro occhi si incrociarono per appena un istante, il suo cuore battè tre volte più forte e potente, dando l’attacco e con quello suonò il gong della battaglia!

La lama rispose subito chiamata da quella melodia, frustò veloce in alto verso la testa dell’avversario che rapido sollevò la sua in parata e quando le lame si scontrarono, ecco che la sua musica esplose! Volteggiando sul fianco dell’avversario seguì i passi veloci e di quella musica violenta, fatta da uno strumento che non conosceva e che forse non poteva esistere: gridava melodico come il cembalo più accordato, ma bruciava e rombava come se fossero spade le sue corde e il petto di un drago la sua cassa. Le loro spade. Il suo petto. E ascoltare la musica e combattere erano la stessa cosa. Vorticava la musica, vorticava il suo corpo che si avvolgeva su quello del ragazzo la cui spada era completamente fuori tempo. Sorpreso, fermo sui suoi piedi, non riuscì a seguirla mentre gli danzava alle spalle velocissima; il braccio libero di Drusinua avvolse quello armato di lui e lo trascinò nel vortice. Senza fermarsi lasciò che la spada suonasse per lei, andando a cercare le sue sorelle in mano agli avversari, mentre lei girava su se stessa trascinandosi appresso il malcapitato che aveva intrappolato facendogli perdere definitivamente il controllo. La lama le rispose come se non fosse creata per fare altro, impegnando quelle degli avversari che, passato lo stupore iniziale, tentavano di ingaggiarla in gruppo. Ma la Danza guidava le stoccate, violente come la sua furia, rapide come la base che batteva il suo cuore e li teneva lontani mentre Drusinua finiva il suo volteggio, portando in leva il polso della sua goffa preda costringendola a lasciare il suo strumento d’acciaio e a rovinare a terra. Con tutta la rabbia di quella melodia, ma con tutta la precisione delle sue note armoniche, Drusinua colse al volo la lama che cadeva armandosi di un’amica in più con cui ballare mentre la Danza la trascinava ancora intorno al suo cadente avversario per frapporlo agli altri che cercavano di colpirla e calciarlo nella loro direzione costringendoli a seguirlo nella sua rovinosa caduta. Senza paura seguì i passi scritti per lei da quell’arpeggio violento in mezzo agli altri sull’altro lato, infilandosi tra due di loro, rompendo la loro formazione, quasi come non fossero lì, pronti a ucciderla. Ma non era possibile: il corpo della ragazza si contorceva con una armonia e rapidità impossibile da seguire per chi non danzasse con lei. Una sua lama volteggiava intorno al suo corpo deviando anche di un solo soffio quelle dei suoi nemici, l’altra frustava e si dimenava come fosse viva rispondendo al battito del suo cuore, mirando quello degli avversari, costringendoli a ritrarre le lame per difendersi. E le spade che non danzavano con le sue non sapevano stare al passo mancando il loro appuntamento con il bersaglio anche se solo di un istante.

La musica, la sua musica. Ecco che cosa era la Danza della Battaglia che aveva cercato di imitare! Ora la sentiva! No, era proprio come le aveva detto lui: non si poteva ascoltarla, bisognava crearla, danzarla, Esserla. Nessuno spettatore l’avrebbe mai potuta cogliere. Nessuno avrebbe mai potuto afferrare il cuore di una battaglia senza mettere il suo cuore, il suo desiderio nella battaglia. E ora per lei non c’era altro. Altro che quella Battaglia. Altro che il suo desiderio.

Abbandonandosi all’ultima battuta di quel primo tempo, Drusinua tornò di scatto verso i suoi avversari, sorprendendoli per l’audacia e sempre girando su se stessa in quel ritornello senza fine si richiuse di nuovo tra due di loro impegnandoli con la sua coppia di lame. Ascoltò affascinata mentre conduceva le spade dei suoi avversari nella sua melodia mettendo alla prova la loro velocità nell’intercettare i suoi assalti, ma senza che potessero rispondere, poi, quando la lezione la stancò, proprio un istante prima che il ritornello diventasse troppo lungo, con un guizzo sulle corde d’acciaio sfuggì a entrambi uscendo dal mezzo passando sotto un fendente pieno d’odio, ma scarsamente efficace di uno dei due. E con le ultime due note lasciò che le sue lame respirassero una traiettoria più ampia nel suo volteggio, baciando il suo avversario prima sotto il braccio e poi l’altra sulla schiena, chiamando il primo sangue.

Prendendo finalmente le distanze il ritmo incalzante si calmò, mentre i ragazzi rotolati a terra riprendevano posizione sporchi di fango, il ferito si ritraeva tenendo il braccio che non riusciva più a sollevare e gli altri un po’ increduli cercavano di capire cosa fosse successo a quella incapace allieva che pensavano di avere già in pugno. Ma Drusinua non aveva smesso di ballare. Ergendosi fiera davanti a loro stava solo assaporando la sua musica che si era acquietata per farle assaporare l’agrodolce ricordo del suo cavaliere, lasciandole ricordare la sua triste espressione e le sue parole più dolci.

Tra i suoi avversari c’era chi era troppo arrogante per ammettere che era cambiata, così fu proprio Lelenia a decidere di darle l’ennesima lezione prendendo l’iniziativa e andandole incontro con lo stesso ghigno spavaldo di sempre, lasciando indietro i compagni. Senza timore le si fece incontro, disturbando quel suo dolce pensiero. Ma andava bene così: era giusto, era nel ritmo della canzone. Drusinua aveva bisogno di lei per fare sì che la musica fosse completa. Perché il suo desiderio venisse davvero alla luce.